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Politiche Sanitarie

2021

Politiche sanitarie nazionali e impatto sulle regioni: un’analisi di Fondazione The Bridge

Politiche sanitarie nazionali e impatto sulle Regioni

La salute pubblica – Costituzione e Titolo V

La ratio di questa analisi parte da due presupposti normativi:

•             l’art. 32 della Costituzione che tutela la salute come diritto fondamentale dell’individuo e nell’interesse della comunità

•             la riforma del Titolo V della Costituzione con cui si è voluto dare un contenuto «organizzativo» a tale assunto, affidando la tutela della salute alla legislazione concorrente tra Stato e Regioni, delineando un sistema caratterizzato da un pluralismo di centri di potere e ampliando il ruolo e le competenze delle autonomie locali (art. 117)

Il riferimento al centralismo permane per quanto riguarda le politiche sanitarie generali necessarie per garantire sostenibilità e universalismo. Il concetto di federalismo, che doveva essere caratterizzato dalla solidarietà, si è però trasformato in un sistema a macchia d’olio, dove 21 Sistemi Sanitari Regionali hanno adottato politiche sanitarie differenti e disomogenee.

A fronte di ciò, lo Stato, con alcune sue scelte politiche a livello nazionale, ha esasperato le disparità locali adottando, negli ultimi dieci anni, anche importanti tagli lineari che hanno, talvolta, impedito alle Regioni di reagire con efficienza ed efficacia agli impatti sanitari, come si è visto per la pandemia Covid.

Questa analisi, senza avere un’ambizione di sintesi del completo panorama, vuole mettere in evidenza, con alcuni esempi, come l’applicazione di alcune norme e politiche sanitarie a livello nazionale abbiano avuto – e hanno tuttora – un impatto sull’organizzazione regionale.

Strutture di ricovero e posti letto

Secondo lo studio Censis, “Un mese sociale”, pubblicato nel 2020, tra il 2007 e il 2017 le strutture pubbliche di ricovero sono diminuite del 22%, mentre quelle private dell’11%. La diminuzione complessiva dei posti letto, con riferimento allo stesso periodo, è stata di -35.797 (il 16% in meno nelle strutture pubbliche – 2,5 per 1.000 abitanti; il 13% in meno nelle strutture private – 0,7 per 1,000 abitanti).

È bene, comunque, prestare attenzione al fatto che il ridimensionamento dei posti-letto è un fenomeno spontaneo e universale, conseguenza e causa dell’aggiornamento degli standard ospedalieri da parte del governo.

Nel 1969 il primo standard di dotazione era di 12 posti letti per 1000 abitanti. La dotazione odierna di 3,5 posti letto ed è in linea con gli standard ministeriali.

Tale ridimensionamento è dovuto anche al tasso di occupazione dei posti letto nel tempo e alla contrazione dei ricoveri.

Dal 2007 al 2017, infatti, il tasso di ospedalizzazione – la domanda di ricovero – è sceso da 226 a 147 per 1000 abitanti.

La contrazione dei ricoveri nelle strutture pubbliche ha lasciato liberi degli spazi, che non avrebbe avuto senso mantenere operativi. Conservando lo stesso numero di posti letto del 2007 il tasso di occupazione oggi risulterebbe solo del 57%.

Fondo Sanitario Nazionale e spesa sanitaria pubblica

Se si considera il periodo di riferimento dal 2001 al 2009, il valore del finanziamento ordinario dello Stato al SSN in rapporto al Pil è quasi sempre aumentato, mentre è calato dal 2010 in poi.

È pur vero che gli investimenti da parte dello Stato a favore del Servizio Sanitario Nazionale sono di fatto aumentati negli ultimi 10 anni, ma tale crescita è si rivela, in percentuale, inferiore se rapportata a quella dell’inflazione, ossia l’aumento del livello medio dei prezzi. Rispetto al pil, la % di spesa sanitaria è costantemente diminuita con la previsione che nel 2021 si aggiri attorno al 6,3% rispetto al 6,8% del 2014.

Se poi si guarda al fabbisogno sanitario nazionale, sebbene vi sia stato un incremento nello stanziamento finanziario negli anni 2018 e 2019, esso non è sufficiente per a coprire i rinnovi contrattuali dei dipendenti della sanità, a meno che non si prevedano ulteriori stanziamenti. Va però sottolineato che il livello del finanziamento del fabbisogno sanitario è stato decurtato principalmente a causa del contributo aggiuntivo che le Regioni hanno dovuto assicurare alla finanza pubblica.

Rispetto ad altri Paesi Europei, dove la % di fondi pubblici destinati alla sanità supera i 2.850 euro pro-capite (es. UK, Francia, Germania), secondo quanto riportato dall’ISTAT nel 2016, l’Italia si attesta a una spesa di 1.844 euro.

Dotazione del personale sanitario ospedaliero

Con il cosiddetto «blocco del turnover», definito con la legge n. 296 del 2006, si è creato un effetto a cascata che ha visto la riduzione complessiva del numero di medici e infermieri del SSN, l’invecchiamento progressivo del personale e la riduzione dell’accesso dei più giovani. Sempre dai dati Censis, si evince che dal 2007 al 2019:

•             il personale ospedali pubblici è diminuito del 7%,

•             i medici sono diminuiti del -6%, con un rapporto medici del SSN/1.000 abitanti passato dal 19,1 al 17,6

•             gli infermieri sono diminuiti del -5%, con un rapporto infermieri del SSN/1.000 abitanti passato da 46,9 a 44,3

Questa riduzione è da addebitarsi alle misure di contenimento della spesa previste con la Legge 191/2009, sbloccate solo nel 2019.

Rispetto all’Unione Europea, il numero totale dei medici per abitante in Italia è superiore alla media (4,0 rispetto al 3,6 per 1 000 abitanti nel 2017), ma il numero dei medici che esercitano negli ospedali pubblici e il numero di MMG, sono comunque in calo.

L’Italia impiega meno infermieri rispetto a quasi tutti i paesi dell’Europa occidentale e il loro numero è notevolmente inferiore alla media dell’UE.

Altro fattore importante da rilevare è che negli ultimi anni le borse di specializzazione sono risultate inferiori al numero dei laureati chiamati ad accedervi e agli stessi fabbisogni indicati dalle Regioni. Nel 2018, infatti, sono state bandite 6.934 borse a fronte di un fabbisogno stabilito dalla Conferenza Stato regioni di 8.569. Solo nel 2019, con 8.000 borse con finanziamento statale e 8.776 borse totali, il numero di posti è stato superiore al fabbisogno indicato dalle Regioni (8.523).

Si deve anche menzionare il fattore del c.d. «imbuto formativo»; i neo-laureati esclusi ritentano il concorso negli anni successivi, con un aumento tra candidati e esclusi che entrano in un imbuto formativo che si sta progressivamente allargando, anche dovuto al numero chiuso di medicina. Nel 2018, l’imbuto formativo, coinvolgeva 8090 medici.

Secondo dati ANAAO, a partire dai dati degli specializzandi e ipotizzando che tra il 2018 e il 2025, dei circa 105.000 medici specialisti attualmente impiegati nella sanità pubblica, ne potrebbero andare in pensione la metà (52.500), per il 2025 si prevede una importante carenza di circa 16.500 specialisti.

Medici di medicina generale

In generale alla formazione dei medici in Italia è destinato, in media, solo lo 0,7% del FSN, impegnato soprattutto dalla formazione dei medici specialisti. Per la medicina generale, invece, si raggiunge di poco lo 0.04% circa.

Eppure, secondo la Direttiva Europea n. 16 del 1993 il Corso triennale di Medicina Generale è equiparabile a quelli di Specializzazione Medica. Entrambi condividono le stesse regolamentazioni e di conseguenza un impegno a tempo pieno con obbligo di frequenza che non consente lo svolgimento di attività lavorative esterne. Ma la disparità è evidente proprio per la mancata applicazione di quanto previsto a livello Europeo; Il trattamento economico per la formazione degli MMG non è mai stato equiparato, a livello nazionale, a quello degli specializzandi.

Altro fattore da rilevare è quello dell’invecchiamento e delle conseguenze diminuzione per pensionamento degli MMG. Secondo la FIMMG, nel 2019 erano presenti sul territorio nazionale circa 54.000 MMG. Da fonti Anaao-Assomed, risulta che entro il 2030 potrebbero mancarne 34.000 medici di base, considerato anche il fatto che tra il 2014 e il 2023 si stima un’uscita media del 40-45% di medici per la pensione.

Per il Concorso di Medicina Generale del triennio 2020-2023 è stato previsto un totale di borse di studio pari a 1.302, distribuite per Regione come da tabella. È un numero che non sembra tenere in conto le problematiche sia del pensionamento che dell’imbuto formativo.